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Ha ancora senso leggere ai nostri bambini le filastrocche? Talvolta ancora oggi nella scuola dell’infanzia le si impara per apprendere i mesi, i giorni, le stagioni o i numeri o il nome degli animali o dei fiori. Una volta era consuetudine insegnarle anche alla scuola primaria e oltre, o ripeterle per gioco a casa. E oggi? In questa nostra era di internet, di giochi al computer, di smartphone dati fin da piccoli ai nostri bambini per passare il tempo, perché leggere e scrivere filastrocche? Dal mio punto di vista i motivi sono tanti. In primo luogo per ridere, per divertirsi con i giochi di parole o con le situazioni più assurde e quindi ridicole o paradossali, senza senso, almeno apparentemente, perché a pensarci bene, a leggerle soffermandosi sui particolari, un senso lo si trova sempre, nascosto tra le rime. In secondo luogo per imparare, appunto. Che cosa? Certamente i giorni della settimana o le ore dell’orologio e tantissimo altro, ma anche il valore dei sentimenti, delle emozioni, l’importanza dei comportamenti quando, in quelle piccole storie che sono le filastrocche, troviamo l’amicizia, la solidarietà, la sincerità, la gentilezza, l’empatia, il rispetto per l’altro, per il “diverso”, per la natura e poi ancora la bellezza, l’armonia e potrei continuare. Non ci credete? Leggete le mie filastrocche e ve ne accorgerete. In terzo luogo, ce lo dicono linguisti e psicologi dell’età evolutiva, le filastrocche sono utili per l’arricchimento lessicale, per sviluppare la capacità di compiere collegamenti, per allenare la memoria, per esorcizzare paure e angosce infantili. Leggere, ascoltare, inventare le filastrocche creano momenti di vicinanza, di affetto, di simpatia tra i piccoli o grandi ascoltatori/lettori, perché c’è amore, c’è tenerezza, c’è condivisione in quel tempo in cui due o più persone stanno insieme, scrivono, leggono, ascoltano, creano personaggi o inventano storielle o si travestono con scambi di ruoli: io sono la regina, tu sei il paggio, io sono il cavaliere senza paura e tu sei un orso che s’è perso nel bosco, per esempio
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