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Quindi è semmai l’aspetto palindromo del quadrato magico (cioè leggibile da destra a sinistra e da sinistra a destra, dall’alto in basso e viceversa) a fornire un indizio per la raccolta di Carone e precisamente quello di un rimescolamento di piani che ne connota persino la cronologia dei testi attinti anche da La Coda del logos, la sua prima pubblicazione, riuniti in fondo a questo nuovo lavoro. E per restare ancora sulla premessa del raffronto con l’Arbor, non si direbbe venir meno, nella sostanza dell’operazione, quel
principio di riutilizzo disinvolto del materiale letterario disponibile: che si tratti, come in Opera R., di autoproduzione, oppure ricavato da opere altrui piegate ai fini di quella sorta di “romanzo” poetico che è appunto l’Arbor.
Tuttavia l’analisi più approfondita di questo tipo di orchestrazione verbale serve, certo, a coglierne la ricchezza del tessuto semantico - al di là delle “rime” indicate come elemento portante fin dal sottotitolo della raccolta, motivo di una scelta di cui il sonetto, con la sua strutturazione conclusa e circolare, rappresenta il coronamento -; ma anche a capire come la modalità che si presta meglio a un occasionalismo del vissuto da trasporre in poesia continui a porre a paradigma quello mottettistico delle celebri Occasioni montaliane, proprio per questa caratteristica chiusura (al di là delle differenze stilistiche). Quando però, invece, è la memoria a trovare sede di narrazione implicita, ecco allora la gabbia del “trobarclus” cedere il passo a un verso più disteso e dilatato. La diversa modalità appare evidente nel raffronto tra un testo come “Una bambina che passa”, in cui addirittura la disposizione dei versi assume la forma della gonna della donna amata evocata,
…Si, una bambina che passa veloce, di corsa
sì, in lei mi pare rivedere come in sogno
le tue lunghe gambe,
delicate, nervose che tanto amavo
guardandole mentre entrambe
indulgevano in quel tuo passo armonioso,
strette in una gonna a morsa…,
rispetto a quanto descritto, per esempio, in “Quadri alla Bocconi”, in cui l’ansia claustrofobica della poco confortevole stanzetta d’albergo utilizzata per la “sosta” si presta a un condensato sonettistico che dipinge in tratti essenziali l’ambiente: “Un comò ed un letto, poco mobilio/ Un bagno stretto e rumoroso annesso”. Esempi di spazi evocativi emotivamente agli estremi nei rispettivi rapporti di immediatezza e di durata e in cui le situazioni risultano collocate in tempi e luoghi concreti per tradursi in un linguaggio
per nulla artificiale, persino colloquiale, da cui si desume una posizione concettualmente anti-metafisica che si confronta con una contemporaneità da cui a emergere è il quotidiano, il dettaglio, la prosaicità di circostanze e fatti.
Dalla prefazione di Giovanni Schiavo Campo
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